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Lode al Lorenzi, il tennista che sale a suon di mattoncini

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Nel panorama mondiale, mentre altri suoi connazionali si barcamenano tentando di sfondare nei tornei che contano, Paolone è arrivato al suo best ranking a suon di risultati nel circuito minore.

Oggi ci vogliamo rovinare ed essendo a fine stagione vogliamo buttarci sul tennis di casa nostra, quello che spesso nell’arco della stagione a causa dei nostri medioman più o meno folli da centro bassa classifica rimane meno seguito dello slalom speciale di Maribor alle 8 del mattino.

Diciamoci la verità: a parte qualche saltuario e molto circostanziale exploit, i nostri giocatori (parliamo naturalmente al maschile) hanno più o meno lo stesso seguito dello Snooker su Eurosport: odiato come la morte secca quando oscura appunto le partite più importanti e abbandonato in sottofondo mentre si prepara la frittatona di cipolle in cucina in attesa che cominci il tennis vero, quello dei giocatori che contano. Perché noi di giocatori di valore autentico ne abbiamo ben pochi. Anzi, a dir la verità anziché avere dei nomi che contino, ci tocca contare i loro nomi. Sulle dita di una povera mano monca…

E nonostante un buon Seppi raggiunga gli ottavi al Roland Garros quasi miracolandosi oltre l’ostacolo di Djokovic per poi vincere a Mosca nel torneo parrocchiale (oltre a fare un’altra finale), possiamo goderci solo l’irraggiungibile e inimitabile follia psicanalitica di Fognini quale tratto distintivo unico nel panorama odierno del circuito (forse solo la Nalba può far peggio!).

Ma siccome alla fine questo è quello che ci passa il convento vogliamo almeno elogiare uno dei nostri impavidi lottatori. Non tutti conoscono la vera storia di Andreas Seppi che dall’alto Italia si è gettato nel duro lavoro tennistico e a suon di V al posto sbagliato si è conquistato un posto tra le interviste dei giornali italici. Tutti si chiedono chi realmente sia Fabio Fognini e quali siano le difficoltà che abbia attraversato quest’anno. Per questo noi vi parleremo di Paolo Lorenzi.

Tutto si può dire dei suoi più quotati connazionali, che grazie al talento (Fognini, compreso quello di parlare con il suo amico immaginario) o a delle doti fisiche maggiori (Seppi) sono arrivati ben più in alto di lui, ma non si può non rimanere ammirati per quello che Paolone quest’anno è riuscito a fare, regalandosi come ciliegina finale di questo 2012 di fatiche il suo best ranking, numero 63.  Meglio di gente come Hewitt, Nalbandian, per non parlare dell’ex inflazionato Bolelli; intendiamoci, non vogliamo assolutamente paragonare Lorenzi ai mostri sacri citati sopra (tranne Bolelli, che è mostro e basta) né farlo sembrare migliore di loro solo in base alla classifica. Vogliamo solo far capire come oggi giorno una buona classifica possa essere anche costruita con buone scelte opulate, molto impegno e un po’ di sana umiltà. Lorenzi si è costruito questa classifica grazie alla sua migliore stagione in carriera, suggellata dai quarti di finale a Vienna, da due successi challenger e altre 5 sconfitte in finale sempre nei tornei minori, risultati che gli sono valsi la qualificazione al Master Challenger di fine anno a Sao Paulo.

Certo, possiamo stare qui fino a domattina a criticare il sistema di assegnazione punti dell’ATP, che permette a un giocatore che negli slam ha fatto solo primi turni come massimo in carriera di stare sopra a qualcuno che ha fatto terzo turno a Wimbledon (vedi Rosol) o ottavi in un slam, oltre che finale in un 250 (Hewitt): ciò non toglie a Lorenzi di essere arrivato, nonostante una “natura tennistica” deficitaria in confronto a tanti suoi colleghi, a dei risultati che vanno oltre le più rosee aspettative, destando in ogni italiano ammirazione per abnegazione e impegno, guadagnandosi ogni ingresso in tabellone con più di una lode e mettendo uno sull’altro punticini come fossero piccoli Lego, fino all’exploit meritato in Austria.

In fondo Paolone non ha un dritto esplosivo, anzi, spesso e volentieri la racchetta da quel lato lì somiglia più a una padella con la quale raccatta le palline di passaggio; ha un rovescio abbastanza debole e spesso tagliato, segno del tocco che fortunatamente si ritrova nelle manine, ma che purtroppo oggi giorno non fa molto la differenza da fondo campo; in compenso quel gioco di volo che non disdegna ci ha fatto innamorare di lui in un pomeriggio romano del 2011, dove Nadal a un certo punto girava per il campo chiedendo alle statue del Foro Italico chi fosse quell’omino di là dalla rete che si permetteva di strappargli un set a suon di serve & volley e recuperi in pallonetto… Il tutto naturalmente per poi dichiarare a fine match che lui aveva giocato male (per favore, Sua Signoria vada gentilmente a nascondersi…), senza pensare che se Lorenzi avesse messo in campo e non in rete una facilissima volee a capo aperto sul 4-4 40-15 nel secondo set forse quell’omino di là, che giocava da Dio quel giorno, gli avrebbe potuto tirare uno scherzetto ben più grosso.

Lorenzi è forse l’esempio del tennista lavoratore che fa quel che può con le armi che ha in mano, che gira per il circuito minore per amore del tennis prima che per la ricerca del successo. E’ la figura che meglio rappresenta forse il giocatore che sogna di arrivarsi a giocare un turno di slam con il numero uno del mondo, sapendo che quel turno sarà il suo limite.

Salvo poi magari pensare alla sfiga di avere appunto SEMPRE trovato il suddetto numero uno o quasi, almeno ultimamente, proprio al primo turno dei grandi tornei, dove magari quello zero davanti alle vittorie lo vorremmo vedere tutti più o meno sparire.

Davide Bencini

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