Tennis – L’importanza di chiamarsi Thomas Berdych
Dopo i poemi omerici sui fab four è giusto concentrarsi anche su chi, al termine di un’ottima stagione, gli è finito subito dietro, su chi spesso e volentieri se l’è giocata alla pari coi primissimi ma per alla fine non è riuscito a spuntarla per un’incollatura, o spesso pure di più.
Berdych è proprio uno di questi, quest’anno ha concluso proprio dietro i famosi quattro e il solito encomiabile Ferrer, col suo tennis Roddick-style incentrato sul serviziodritto che ormai ha sostituito quasi definitivamente il serve&volley nel novero dei giocatori offensivi dell’Atp e non solo. Un tennis molto brillante e spesso divertente da vedersi, in genere basato sopratutto sull’esecuzione di colpi molto potenti per prendere in mano subito le redini del punto, al fine di soffocare l’avversario e come si dice in gergo “farlo correre per non correre”.
Tom, oltre che sul piano sentimentale, quest’anno ha ottenuto grandi risultati a livello ATP, i migliori a livello di final ranking e di grande continuità, su cui spicca la semifinale persa da Murray agli US Open funestata dal vento e la finale persa al terzo con Federer, oltre a buoni risultati come il successo a Montpellier, la semifinale a Montecarlo (persa in 3 da Djokovic) e i quarti agli Australian Open dove perse un solo set da Nadal. Ci sarebbe pure la vittoria in Davis, ma li l’eroe nazionale è stato Stepanek e sopratutto la vittoria dell’insalatiera è un trofeo di squadra e non individuale, benché la sua presenza sia stata determinante, seppur non eccezionale in molti momenti chiave.
Risultati che gli valgono il sesto posto finale in ranking e la conseguente qualificazione al Grand Final di Londra, dove però Djokovic e Murray lo condannano a una prematura uscita al Round Robin. Rileggendo le stats si nota come il suo miglior rendimento l’abbia avuto nella prima parte di stagione, per poi calare quasi inspiegabilmente in estate, quando non andò oltre gli ottavi al Roland Garros (perso da Del Potro), nonché la clamorosa doppia eliminazione immediata a Wimbledon e alle Olimpiadi prima da Gulbis (precipitato fuori dai 100 poco dopo) e dal buon Darcis poi, in una gara dove fece più metri scivolando per terra (pardon, erba!) che in piedi.
Spostamenti e concentrazione, i talloni d’achille del buon Thomas, che sembravano quasi annullati a inizio stagione, sono poi riemersi successivamente. A Winston Salem sbaglia una facilissima volè nel tie-break decisivo sul match point e poi cede da Isner. Si rifà come già detto a New York, e indoor fa valere la sua potenza vincendo a Stoccolma sul suo dirimpettaio Tsonga non prima di aver raggiunto la semi outdoor a Shanghai, eliminato da Djokovic. Ma anche qui, quando poteva fare punti per diventare il primo sfidante dei primi 4, esce prematuramente a Bercy, in un torneo dove la finale sarebbe stata facilmente alla sua portata e delude al Grand Final, sopratutto nel match con Djokovic buttando via un tie-break già vinto. Prima del successo in Davis, già citato, dove tuttavia perse miseramente con Ferrer costringendo Stepanek agli straordinari con Almagro.
Fatto il sunto della stagione del ceco, la previsione futura è semplice: impossibile lottare per il N1 se non riuscirà a giocare il suo miglior tennis per interi tornei senza mai staccare la spina, cosa che finora gli è sempre mancata e che fa la differenza tra i primi 4 e gli altri. Più che la qualità, occorre la continuità. Il buon Krupa sicuramente lo saprà e sarà già al lavoro per la difficile impresa. Hodně štěstí Thomas!