Gli US Open che guardano al futuro: tra migliorie ed innovazioni sperimentali
Oltreoceano direbbero che la prima settimana dell’Open degli Stati Uniti “is in the books”. Ed effettivamente agli archivi ci è andata, ma con delle importanti novità per le strutture del Billie Jean King National Tennis Center, sito nel più grande borough della Grande Mela, il Queens, ed anche con un esperimento che potrebbe cambiare per sempre uno degli aspetti più criticati degli incontri tennistici.
Partiamo dalla novità più attesa ed appariscente. Dopo tre anni di duro lavoro finalmente anche l’Arthur Ashe Stadium ha un suo tetto retrattile per sopperire ai tantissimi rinvii che negli anni hanno messo in crisi giornate intere di gioco e la tradizione tutta a stelle e strisce del Super Saturday (semifinali maschili e finale femminile a seguire). Da notare che, a riprova di quanto gli americani siano storicamente più rapidi degli europei a realizzare grandi opere, la USTA è stata l’ultima delle quattro federazioni che possiedono le prove Major ad approvare il piano di costruzione del tetto ma è stata la terza ad averlo in dotazione, mentre a Parigi l’inizio dei lavori è ancora bloccato da continui rinvii…
La nuova struttura dello stadio più grande al mondo per questa disciplina è un gioiello dal punto di vista ingegneristico trattandosi di un’opera particolarmente delicata. La USTA ha speso la modica cifra di 150 milioni di euro per una struttura particolarmente complessa da costruire. A differenza dei tetti del Center Cour di Wimbledon e della Rod Laver Arena di Melbourne, non è parte dello stadio ma si fonda su dei pilastri separati: essendo l’Arthur Ashe Stadium una costruzione imponente, altrettanto deve essere la sua copertura, motivo per il quale il peso del nuovo tetto non sarebbe stato sostenuto dallo stadio. Nonostante tutto il nuovo Campo Centrale non solo adesso è funzionale alle esigenze del torneo, ma ne esce anche esteticamente migliorato. Adesso manca solo il Philippe Chatrier.
Il secondo debutto strutturale è quello del nuovo Grandstand. Il terzo campo per capienza (ed importanza) del complesso di Flushing Meadows. Se lo ricordate, il vecchio Grandstand era quello attaccato al Louis Armstrong Stadium con un piccolo terrazzino dietro il seggiolone dell’arbitro; lo stesso all’interno del quale Francesca Schiavone giocò un tweener vincente contro Alona Bondarenko nel lontano 2010, uno dei colpi più belli della carriera della Leonessa, allora fresca vincitrice a Parigi. Oggi lo stadio si presenta con una fisionomia totalmente diversa ed in un’altra location rispetto al precedente: una struttura dalla forma circolare sita nell’ala sud-est del National Tennis Center. La capienza è di 8.125 posti a sedere ed un design asimmetrico che permette di proteggere dal sole la maggior parte degli spettatori. “È semplicemente bellissimo. È un’opera d’arte e sarà difficile trovare qualcuno che non rimanga stupito dalla struttura – dichiara entusiasta Danny Zausner, COO della USTA – sia che lo si guardi dall’interno, dall’ingresso o dall’Arthur Ashe Stadium, credo che la gente resterà totalmente stupefatta dal look e dalle sensazioni che questa struttura trasmette e da quanto intima sia rimasta”.
Ultima novità, ma non per importanza, quella che potrebbe portare una variazione permanente al regolamento del nostro sport preferito. Infatti, per la edizione 2016 degli US Open juniores, l’organizzazione del torneo ha deciso di testare, in via sperimentale, la collocazione del cronometro dei 20 secondi (25 al di fuori degli Slam) a bordo campo così da rendere meno discrezionale l’applicazione della regola sulla time violation e di conseguenza più uniforme. Nel caso di specie, gli orologi sono due e vengono collocati in entrambe le metà campo e per questo torneo serviranno ai giudici di sedia non tanto a punire obbligatoriamente il giocatore che non rispetta il tempo previsto per iniziare il punto successivo quanto ad avere maggiore contezza del tempo che ogni tennista perde ed anche ad iniziare ad abituare gli arbitri in ottica futura all’idea di avere un cronometro che inesorabilmente scorre e non concede alcun potere discrezionale.
Con il cronometro sicuramente potrebbero spegnersi le polemiche provenienti dal partito di chi accusa i giudici di sedia di proteggere troppo alcuni giocatori o di non giudicare con gli stessi criteri tutti quanti, ma potrebbe portare via dal gioco proprio quel buon senso che consentirebbe qualche attimo in più per rifiatare dopo uno scambio particolarmente lungo e tirato nelle fasi più concitate dell’incontro. Nonostante tutto ed indipendentemente dal partito in cui ognuno maggiormente si riconosce, l’idea avuta dal direttivo del torneo è stata eccellente, perché permetterebbe di analizzare tutti i pro ed i contro sulla base di una reale esperienza sul campo e non mediante semplici ipotesi. Non si tratta comunque di un debutto assoluto, in quanto la International Tennis Premier League adotta già l’orologio, ma si tratta di un torneo non ufficiale con diverse variazioni rispetto al regolamento tradizionale.
Insomma, da quest’anno nella gara all’innovazione tra le quattro prove del Grande Slam lo US Open si inserisce prepotentemente nella corsa al primato ad oggi saldamente nelle mani dell’Open d’Australia, ma siamo pronti ad assistere ad una corsa al rialzo.
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