Un altro qualificato (e già ritirato) al master di Londra è Andy Murray, terzo giocatore del mondo dopo una stagione a tratti esaltante – vedi Wimbledon – a tratti inconcludente. Dalla sua parte, Andy ha fatto sua una distanza – quella dei cinque set – che fino al 2011 sembrava relegarlo al ruolo di eterno incompiuto, e che invece nel 2012 lo ha finalmente consacrato al grande pubblico con la vittoria dell’oro olimpico su Federer (nella finale-vendetta a poche settimane dalla delusione di Wimbledon) e degli US Open, con un’epica vittoria al quinto su Djokovic (che aveva pareggiato i conti da due set sotto).
Sui 3 set Andy comunque il suo dovere l’ha fatto, difendendo subito con successo il titolo di Brisbane nella finale su Dimitrov. Chi ben comincia è a metà dell’opera si dice, e agli Australian Open il campione di Dunblane sbriciola Haase, Sousa, Berankis, Simon e Chardy senza perdere un set per poi vince re62 al quinto su un Federer mai vicino alla vittoria. In finale c’è di nuovo Djokovic, come due anni prima: il primo tie break va al britannico, ma nel secondo un doppio fallo apre la strada al serbo che esce alla distanza e vince il suo terzo Aussie di fila col finale di 67 76 63 62. Terzo piattino invece per lo scozzese, ancora perdente in terra oceanica.
Dopo la quinta sconfitta in finali Slam, Murray decide di non difendere la finale di Dubai e si presenta quindi direttamente a Indian Wells: con un mese di stop la ruggine si fa sentire e all’esordio è costretto al terzo da Donskoy, Poi vittoria tutt’altro che brillante su Berlocq e sconfitta al terzo da un grande Del Potro, che cederà solamente in finale da Nadal dopo aver battuto anche Djokovic. Il momento di forma non è il migliore, ma rispetto agli altri è ancora competitivo: a Miami, infatti, lo scozzese torna la vittoria in un Master 1000 dopo un’incredibile finale sotto il solleone contro Ferrer, vinta al tie-break decisivo annullando un match point prendendo 110 di riga.
Una vittoria di grande cuore ma poco gioco e sulla terra battuta, il tutto è amplificato: l’avventura sul rosso comincia da Montecarlo, battendo Roger-Vasselin ma poi schiantandosi su Wawrinka con un pesantissimo 36 26, per poi proseguire con la sconfitta ai quarti a Madrid su Berdych. A Roma le cose non vanno meglio: l’anca torna a far male ed è costretto al ritiro sia per quanto concerne gli Internazionali che, sopratutto, il Roland Garros, al fine di non aver problemi per Wimbledon.
Torna quindi a giocare al Queen’s, e dopo essersi vendicato di Mahut per l’anno scorso, Murray elimina Matosevic, Becker e Tsonga al terzo prima di conquistare il trofeo al set decisivo su Cilic, per il suo terzo successo nel tradizionale 250 londinese. E arriva Wimbledon: l’erba più famosa del mondo è l’apice della stagione dello scozzese, che domina facilmente Becker, Lu, Robredo e Youzhny, prima di trovarsi due set sotto e vincere al quinto su Verdasco. In semifinale chi riempe il buco lasciato da Nadal e Federer è Jerzy Janowicz, che vince il primo al tiebreak e va avanti nel secondo prima di essereribaltato dall’orgoglio del vicecampione con un doppio 64. L’onda dell’entusiasmo sembra essere bloccata dall’oscurità che impone la chiusura del tetto, ma Andy non si cura del resto e vince 67 64 64 63. In finale ancora Djokovic, battuto solo a Flushing Meadows sui 5 set, ma sull’erba è tutt’un’altra storia: a conferma del doppio 75 per il campione olimpico l’anno prima, infatti, è ancora Murray che vince i punti decisivi.
Con un ace vince 64 il primo, con una bella rimonta il secondo 75 e al terzo serve sul 54 40-0: i primi tre match point vengono annullati dal serbo, ma al quarto la prima entra e un rovescio in rete di Nole pone fine ai 77 anni di attesa per rivedere un campione di Wimbledon autoctono.
Feste, ricevimenti, interviste e sopratutto il visibilio degli inglesi distraggono lo scozzese, che al ritorno in campo un mese dopo in Canada vince a fatica su Granollers per poi essere schiantato in due set da Gulbis, seppur raggiungendo la finale in doppio. Non va meglio a Cincinnati dove è Berdych a farlo fuori nei quarti. Tuttavia il vero obiettivo è difendere Flushing Meadows, per restare il giocatore con più slam all’attivo negli ultimi 12 mesi, su cui notoriamente si basa il ranking: Alberto Tomba diceva che il difficile non è tanto vincere ma rivincere, e per Murray cosi è stato. Llodra, Leonardo e Florian Mayer, Golubev vanno fuori in relativa scioltezza, ma Wawrinka gli è di nuovo fatale (come a Montecarlo ma sopratutto come 3 anni prima nella terribile eliminazione al terzo turno): lo svizzero domina letteralmente la partita mostrandosi invulnerabile in ogni fondamentale senza concedere una sola palla break contro la miglior risposta del circuito, chiudendo con un roboante 64 63 62. Murray non riesce quindi a confermare il titolo, ma ha la magra consolazione della qualificazione matematica al Grand Final di fine anno.
Grand Final che non giocherà, perchè dopo aver trascinato la Gran Bretagna nel World Group di Davis (vincendo entrambi i singolari e il doppio nello spareggio con la Croazia), ha deciso di operarsi alla schiena che continuava a dar fastidio. Annuncia immediatamente il ritiro dai tornei asiatici di Bangkok, Tokyo e Shanghai, per poi farlo anche dalle finali di Londra nei giorni successivi. Nel 2014 il suo ritorno, verosimilmente in quel di Brisbane che tanta fortuna gli ha portato nell’ultimo biennio.
Enrico Carrossino
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