Murray fa felice un’intera nazione che aspettava da tre quarti di secolo e più di vedere la bandiera britannica sventolare sul più alto pennone di Wimbledon. Battuto Nole in 3 set per il primo titolo a Wimbledon.
Solo lacrime di gioia stavolta. E’ passato un anno e pochi centimetri. Quei centimetri che dividevano il piatto dalla coppa. Quei centimetri che riportavano Andy nella mera Scozia per qualunque abitante di Inghilterra, dopo due settimane passate a sventolare la Union Jack anche nei bagni di Londra.
Adesso Murray è il campione. Fred Perry ha finalmente un erede maschio. E di tutto rispetto, anche perché Andy, malgrado per gli inglesi il conto fino ad oggi fosse ancora in sospeso, uno slam lo aveva pur vinto.
Oggi Murray è britannico. Più inglese dei Beatles. Albione quanto Re Artù in persona. Figlioccio prediletto della Regina Elisabetta e compagno di bevute del principino Harry. Magari lo faranno anche padrino dell’erede che sta per nascere.
Lo scozzese perdente non esiste più.
Esiste un ragazzo che per quanta paura possa avere di vincere gli slam – vedere la tremarella vissuta oggi sul 40-0 nel game finale, così come i due set di vantaggio a Flushing Meadows l’anno scorso – è riuscito là dove molti hanno fallito alla grande, ovvero dopo il primo tassello aggiungerne un altro. Lui lo ha fatto alla grande, aggiungendo il tassello migliore, quello che tutti gli inglesi volevano. Quello che lui fin da piccolo guardando Henman lo sfigatello in tv ha sempre sognato.
Ridevamo tutti quando lo nominavamo Mr Zeru Tituli, credendo che una specie di maledizione gli si fosse abbattuta addosso. Poi è arrivato Ivan il terribile nella sua vita, e dopo un difficile periodo di assestamento e risultati a dir poco agghiaccianti è arrivata la prima finale sui prati dell’All England Club e il titolo a New York che ha cancellato quello “0” dalla casella slam, per concludersi oggi con la migliore delle ciliegine sulla torta. Non tanto per il successo in sé per sé, quanto per la strategia adottata, quanto mai “lendliana” a tutti gli effetti.
Come Lendl Andy ha scelto di mandare a quel paese un dispendioso Roland Garros che avrebbe vissuto da comprimario, per concentrarsi sul bersagli grosso. E come non era riuscito a Lendl ha trionfato, portando un miracoloso sorriso persino sul viso del suo coach; roba che non si vedeva dal crollo del muro di Berlino, per un Lendl che finalmente potrà dire al bar con gli amici di aver vinto Wimbledon senza sentirsi rispondere a suon di pernacchie.
Anche in questo è stato bello vedere vincere Murray il bretone: vedergli lasciare da parte nei momenti più duri il gioco da pallettaro sui teloni per entrare in campo e aggredire la rete, come saprebbe fare meglio di molti altri, compreso probabilmente il suo avversario di oggi, che malgrado sulla carta superiore ha fatto vedere che questo Wimbledon non era propriamente il suo torneo, farcendo la propria prestazione di errori inusuali che oggi, contro questo Andy Murray da Buckingham Palace, sono costati carissimi.
E’ lo Wimbledon di Murray. Punto. Murray che non sa come esultare. Murray che finalmente sorride. Murray che non ha paura di vedersi spuntare Federer ha soffiargli il trofeo dalle mani con due volee inconcepibili. Murray che non sa che dire e che non si ricorda l’ultimo punto. Murray che fa ridere il pubblico. Murray che batte le mani ai tifosi e fa il giro di campo, sale nel Royal Box, saluta anche il cagnolino dello stewart e si dimentica di sua mamma tanto è via di melone. Murray che stavolta al contrario di New York non ha bisogno dello champagne per sembrare ubriaco. Murray che cambierà religione e d’ora in poi pregherà prima e dopo i pasti San Juan Martin da Tandil che a Londra gli consegni sempre in finale un avversario da raccattare con il cucchiaino da caffè.
Oggi è un giorno speciale. In cui Andy Murray non solo entra di diritto nell’Olimpo dei vincenti, ma che per una volta è sembrato davvero l’uomo dei miracoli e dei sogni realizzati, invece che il perdente “vampiro” di Dumblane.
Benvenuto, “Mr due tituli”.
Davide Bencini